Sul modello animale nella sperimentazione animale, una difesa scientifica (Appunti per una sinistra razionale)

di Francesco

Questo articolo prosegue la nostra serie di appunti per una sinistra razionale e inizia degli appunti su un argomento molto dibattuto ultimamente: la sperimentazione animale.
Essendo degli appunti, non faremo un discorso generale sulla sperimentazione animale, né proveremo ad affrontare i temi etici connessi; in rete esistono decine di spiegazioni ben più dettagliate per quanto riguarda la sperimentazione animale e la sua etica [1]. Da scienziati affronteremo solo alcuni punti critici funzionali alla discussione.
Si noti che il nodo fondamentale della discussione non è come si debba schierare ognuno di noi sull’animalismo come posizione etica in generale, ma come si debba schierare la sinistra nei confronti di una pratica scientifica assodata.

Appunti sul concetto di ipotesi sbagliata

Uno dei più seri argomenti utilizzati dai contrari alla sperimentazionale animale è il seguente:
La sperimentazione animale è basata sull’ipotesi che gli effetti di una pratica (farmaco o altro) su un animale possano predire che la stessa pratica abbia effetti simili sull’uomo. Chi è contro la sperimentazione animale sostiene che questa ipotesi sia contraddetta dalla realtà in molti casi e che quindi l’intero impianto della sperimentazione animale sia fallace (arrivando a definirla “falsa scienza”).

Noi non siamo biologi quindi non entreremo nel merito di quanto vera o falsa sia questa affermazione. Da un lato appare evidente come anatomia e fisiologia di molti animali siano estremamente simili a quelle umane e dall’altro è chiaro come sia anche possibile individuare le differenze. Ma il punto non è questo per quanto riguarda questa discussione. Chi si occupa di scienza seriamente non avrà difficoltà a capire la fallacia di questo argomento, che tuttavia non è una banalità, e che quindi cercheremo di spiegare.
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Un relativismo sospetto – di Telmo Pievani

Riportiamo qui un articolo di Telmo Pievani, tratto da Le Scienze (Dicembre 2012, p. 22) per la sua importanza nel dibattito sulla scienza e la filosofia e la loro prassi, ma anche per il suo andamento controcorrente rispetto alle filosofie della scienza più in voga tra chi non si occupa di scienza. Chi invece di scienza si occupa troverà questo articolo un po’ ovvio, ma capire l’importanza dell’aspetto sociale e non automatico della scienza non è banale come sembra.

Un relativismo sospetto – di Telmo Pievani
Se una teoria scientifica è falsificabile, non è detto che sia sempre rivedibile.

Nel dibattito italiano alcuni filosofi della scienza del passato riscuotono un particolare successo. A commentatori che di solito non sono teneri nei confronti dell’impresa scientifica piace molto l’idea che la scienza sia perennemente “falsificabile”, e dunque non sia in grado di fornirci certezze (le quali sono invece distribuite gratuitamente da filosofi e teologi).
Si nota un certo sollievo psicologico in questa adesione al falsificazionismo: se le idee di Charles Darwin non ci piacciono, poco male, tanto sono rivedibili. Vanno di gran moda anche le idee del secondo Thomas Kuhn, con l’immagine di una scienza lacerata da conflitti insanabili tra gruppi di ricercatori abbarbicati attorno ai loro paradigmi e linguaggi incommensurabili. Per non dire di una certa interpretazione dell’anarchismo metodologico di Paul K. Feyerbend, passione recente di illustri teologi.
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Appunti per una sinistra razionale

di Francesco e Alberto

Quella che segue è una prima parte o un’introduzione a degli appunti sparsi per una “sinistra razionale” che scriveremo su questo blog, senza pretesa di continuità o completezza, ma come stimolo al dibattito.

Un’introduzione

L’idea di questi appunti nasce da lontano, ma è stata approfondita dal dibattito svoltosi alle scorse elezioni politiche. Come RedShift non abbiamo un partito di riferimento, ma vari partiti della sinistra radicale rappresentavano il nostro pensiero in diversi ambiti. Tuttavia qualcosa mancava a tutti loro.

Questo si è reso ancora più evidente dall’intervista parallela fatta da “Dibattito Scienza” e “Le Scienze” ai candidati premier [qui]. Tralasciamo qui la miopia politica di intervistare solo i gruppi dei partiti più numericamente rappresentativi, e concentriamoci sulla sostanza.
Le risposte alle domande, ma soprattutto il dibattito e le informazioni da noi raccolte in rete sui partiti mancanti denunciano un problema: anche nei partiti che si richiamano a tradizioni di sinistra, o perfino a tradizioni marxiste, l’atteggiamento verso le tematiche scientifiche è superficiale, dimostra una scarsa conoscenza della scienza e dei suoi metodi e sfiora il complottismo in vari ambiti.

Esistono varie ragioni per cui un partito di sinistra, per definirsi tale, dovrebbe affrontare queste tematiche in maniera approfondita e non superficiale, ne menzioniamo due:

  1. il pensiero di sinistra ha sempre messo alla radice dell’agire politico l’analisi scientifica della realtà in tutte le sue forme, poiché per poter cambiare la realtà occorre conoscerla; un partito di sinistra che non facesse proprio questo principio ne risulterebbe snaturato;
  2. molte delle tematiche che verranno trattate sono state usate da gruppi di estrema destra, rossobruni, sette religiose estremiste (e non) per fare propaganda, e questo non a caso: imputare i problemi della società alla malizia di un gruppo di persone da eliminare (tipico del tema del complotto) e l’approccio fideistico su cui si basa il pensiero antiscientifico sono infatti anche due elementi fondamentali dello stesso pensiero di destra.

Non andremo nel dettaglio di questo o quel partito perché questo non è il punto: il punto è indicare delle tematiche e un modo di affrontarle (o in alcuni casi la vera e propria linea politica da adottare) che come scienziati rivoluzionari (se questo termine ci può definire) ci aspettiamo da un partito di sinistra moderno.

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L’esodo

Comunicato sul flusso di studenti di Fisica di Cagliari verso
altre università

Negli ultimi tre anni 21 studenti di Fisica hanno abbandonato l’Università degli Studi di Cagliari, dopo aver conseguito la triennale in Fisica, per continuare i propri studi altrove. Percentualmente questi studenti sono circa il 66% di quelli laureati con al massimo un anno fuori corso.

Nessuno studente è obbligato a effettuare la specialista nella stessa università in cui ha studiato alla triennale. Tuttavia è prassi comune, per ovvie ragioni culturali, logistiche ed economiche, proseguire laddove si è iniziato. Quali sono dunque le ragioni di questo esodo?
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